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La bolla spazio-temporale

Aggiornamento: 29 gen 2021

21 gennaio 2021




Ascolta il Podcast:

Musica consigliata come sottofondo alla lettura:



Quando ero bambina accompagnavo i miei genitori alla messa di mezzogiorno che si teneva ogni domenica nella chiesa dei frati Cappuccini di Borgo Palazzo, a Bergamo.

Mia madre si alzava presto per preparare il ragù e condirci la pasta al forno che al nostro rientro avremmo trovato alla giusta temperatura, con le fettine di melanzana panata filanti di mozzarella e le polpettine alternate a strati di tortiglioni rigati e succulenti.

Dopo pochi minuti che stavo seduta fra mamma e papà in uno dei banchi di legno della parrocchia, chiedevo il permesso di andare fuori.

Anzi, no, un attimo, prima giro tutti gli inginocchiatoi del banco così potete appoggiare i piedi e appendo la tua borsetta, mamma, qui al gancio dello schienale della panca davanti. Tieni, papà, il libro dei canti e non addormentarti che Gesù non vuole!

Ora posso andare. Sì, ma non allontanarti e non uscire per nessuna ragione dal cortile.

E come avrei potuto?

Era un appuntamento settimanale fisso, tra me e quel bellissimo chiostro secolare con al centro la fontana ottagonale da dove spiccava il mezzo busto di San Francesco.

Andavo lì, fortemente attratta da una forza che il mio cuore bambino riconosceva.

Mi piaceva così tanto stare seduta sul bordo di quella vasca a guardare i pesci rossi o seguire il volo di qualche volatile che saltellava di qua e di là alla ricerca di briciole.

Stavo lì, incapace di fare altro se non che osservare e perdermi in quello che vedevo.

Entravo in una dimensione totalmente diversa dalla quotidianità completamente assorta da niente di particolare, semplicemente dal mio essere in quel luogo, mentre la voce del frate che diceva messa e quella dei fedeli che rispondevano all’unisono arrivava ovattata insieme al suono di una modesta pianola.

Guardavo i pesci, gli uccellini, ne ascoltavo il canto e speravo sempre che un passero vero si

appoggiasse su quello di bronzo che la mano aperta del santo reggeva.

A volte accadeva.

Oppure, fissavo la meridiana affrescata sul muro del porticato.

Fugit irreparabile tempus, non mi chiedevo nemmeno che significasse, non m’importava.

La bolla spazio-temporale in cui mi sentivo accolta e al sicuro era come un incanto dove il tempo smetteva di essere tale e lo spazio diventava giusto il presente, nulla di più, nulla di meno.

Gli attimi, uno dopo l’altro si susseguivano senza che lo sapessi.

L’acqua aveva mille rumori che percepivo come amplificati.

Il gocciolio del rigolo che usciva dal rubinetto erano tante gocce che cascavano tintinnando e

risuonando sulla superficie. Ci passavo in mezzo con le mani sfidando quel ritmo a non bagnarmi.

I pesci erano indifferenti a quei movimenti ma attratti dalla mia presenza arrivavano in superfice boccheggiando sicuramente sperando di ricevere cibo. Nelle tasche di un bambino ci può sempre essere il resto di un biscotto, meglio controllare. No, non l’avevo ma appoggiavo comunque la punta di un dito sull’acqua e immancabilmente uno di loro veniva a “mordicchiarmi”.

Che gioia!

Il frusciare delle ali di un passero che atterrava vicino.

Il vento leggero di fine inverno che ancora pizzicava le gote ma già portava gli odori della

primavera.

L’inconfondibile profumo della minestra dei frati.

Mi sistemo la cuffia e rifaccio il nodo smollato, so fare il fiocco, io!

Il bisbiglio di qualcuno dalla sagrestia, non m’interessa.

Sono lì, nel silenzio dei suoni che mi piacciono.

Sono lì, nel mio Centro Interiore, presente nel Presente, collegata al Tutto, integrata nell’Essere… E NON LO SO.

La curiosità gentile, l’osservazione, la pace, il godimento del qui e ora.

La folla dei fedeli che cominciava ad attraversare il giardino, era la mia sveglia.

Così, rientravo di corsa in chiesa, controcorrente, facendomi spazio tra cappotti che si

riallacciavano e sciarpe che si annodavano.

I miei non erano più lì, ma sapevo dove trovarli.

La statua di Gesù era bellissima, di dimensioni umane.

Ecco mamma davanti a una miriade di candele accese.

Annuso quell’odore che resterà per sempre nelle mie narici mentre sento il desiderio di toccare quelle fiammelle e tento di avvicinare il più possibile la mano e il viso anche per scaldarmi.

Che fai? No, attenta! Tieni, accendine una per i nonni volati in cielo.

La monetina passava dalle mie mani nel portaofferte attraversando la fessura di metallo.

Tin, atterrata tra tante. Ora posso accendere la mia candela e dire l’Ave Maria.

Poi, un salutino alla Madonna, ancora a Gesù e un bacio finale a tutti i Santi del paradiso prima di imbacuccarci e uscire spingendo quelle basculanti porte di legno, leggere e facili da aprire anche per una bambina.

Questa, invece, è per loro!

Un’altra monetina, stavolta per i poveri già in fila fuori dal convento in attesa di ricevere il pasto caldo di ogni giorno.

Fatto.

Ora la mia mano è nella tua, mamma.

Sui sedili posteriori della 850 bianca, detta Peppinella, mi godevo ancora quell’insieme di

sensazioni di poco prima, quando ero in quello spazio magico del Nontempo, assorta in un

presente che conteneva il Tutto di cui ora, 50 anni dopo, sono cosciente.

Il Nontempo è la dote di tutti i bambini.

Voglio usare questo BLOG così, come una bambina in una bolla spazio-temporale e raccontare che succede nello spazio che diventa ETERNO PRESENTE.

Dedicato a chi si concede la ricchezza, o il lusso, del leggere.

Anna Capurso





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